Siamo ormai a pochi giorni da un evento molto importante per la città di Napoli: la festa di San Gennaro. Ogni anno il popolo si riunisce in attesa che il Santo patrono della città compia il prodigio della liquefazione del sangue. Tra il fervore dei credenti e l’attesa di chi attende speranzoso un segnale di “buon augurio” per la città, il 19 settembre ricopre un posto di primo piano nel cuore della tradizione popolare napoletana.
Perché parliamo della festa di San Gennaro e scegliamo come canzone Dove sta Zazà? Il motivo è molto semplice: siamo nel 1944 e dall’incontro tra le parole di Raffaele Cutolo e la musica di Giuseppe Cioffi nasce Dove sta Zazà, celeberrima canzone napoletana conosciuta in tutto il mondo tanto che, come riporta Radio Napoli, alle Olimpiadi di Mosca 1980, durante le quali si decise di non eseguire gli inni nazionali a causa dell’assenza di diversi paesi per motivi politici, la sfilata degli atleti italiani fu accompagnata proprio dalle note di Dove sta Zazà.
Ma come nasce la canzone e qual è il legame con la festa di San Gennaro?
È interessante segnalare nell’epoca che viviamo – dominata dalle serie tv, dal prequel/sequel delle arie saghe cinematografiche e/o televisive – Dove sta Zazà rappresenta il sequel di un’altra canzone di pochi anni precedente: La regina dell’amor fu Zazà / la padrona di ogni cuor fu Zazà scritto nel 1942 da Raffaele Cutolo e musicato da Lucio Stazio. Nello stesso anno nelle sale cinematografiche un film intitolato Zazà è tra i titoli proiettati. Oltre ad interrogarci su quale tra film e canzone sia precedente, come giustamente sottolinea il professor Scialò a cui rimando per un’analisi più approfondita[1], entrambi rappresentano solo un antefatto cui segue la storia di Dove sta Zazà.
La canzone racconta la scomparsa improvvisa, durante i festeggiamenti per la festa del Santo patrono, di una donna di nome Zazà. Il suo compagno Isaia è disperato e chiede aiuto a tutti i presenti suonatori di banda compresi; a questo punto tutti intonano il nome di Zazà il cui suono onomatopeico richiama il suono metallico dei piatti dei musicisti.
La seconda strofa si apre con la stessa scena, di Isaia che cerca Zazà ma un anno dopo; per un anno l’uomo non è riuscito a trovare la sua amata misteriosamente scomparsa e per disperazione si dice pronto a fidanzarsi con la sorella della stessa a cui griderà il suo amore per Zazà.
Questo è il finale aperto della canzone che Napulitanata (prima e unica sala da concerto dedicata alla canzone classica napoletana) decide oggi di approfondire anche attraverso i suoi canali social (come si evince dal post Instagram). A dire il vero c’è una canzone del 1946 che scrive il finale della storia: L’hanno ritrovata (Ma chi?) … Zazà di Arrigo-Paisaniello. Qui il primo novembre tra la festa di Ognissanti e il giorno dei Morti (o commemorazione dei defunti per essere più precisi) Isaia ritrova finalmente Zazà accompagnata però da altri uomini. Per Isaia il colpo che la sorte gli ha inferto è troppo duro da digerire, non può accettare che la sua donna si sia concessa ad altri. L’allegria amara fa sì che l’uomo sia riconoscente a San Gennaro che gli ha restituito Zazà ma Isaia per vendetta decide di sposare la sorella della donna amata.
Così si conclude la storia di Zazà con un ritrovamento reso smarrimento dal tempo che passa e dalla guerra che trasforma a tal punto l’animo umano da non renderlo più riconoscibile neanche a sé stesso. Zazà è la metafora di una città (Napoli) ferita dalla guerra come bene rappresenta Eduardo in Napoli milionaria: qui Gennaro ritorna a casa dopo un lungo periodo al fronte e non riconosce più le persone e i luoghi a lui cari … il mondo è cambiato cullato nell’indifferenza contagiosa che rende il reduce un corpo estraneo alle mancate sensibilità infiltratesi nel cuore di chi è rimasto a casa.
Zazà è il grido inascoltato di tutte quelle ragazze violentate dagli alleati e poi abbandonate con un bambino in grembo come nella Tammurriata nera, ma questa è un’altra storia …
[1] P. Scialò, Storia della canzone napoletana, 1932-2003 volume II, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2021, pp. 58-65.
Di Antonio Di Criscito
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