Tante sono le storie che uniscono la canzone napoletana e il mare. Esso è fonte di ispirazione per molti autori attraversati dalla poesia di cui il mare è pregno. I giovani tormenti e le antiche nostalgie si incontrano tra le onde che si infrangono sugli scogli. Le storie raccontate sono così tante che enumerarle è molto complesso; di certo è innegabile il legame viscerale tra il mare e la città.
L’elemento mare è foriero di una molteplicità di significati pressoché infiniti e spesso contraddittori: esso può unire due amanti oppure dividerli provocando un lacerante dolore in entrambi, esso è rifugio e fuga allo stesso tempo, è romanticismo e nostalgia. Il mare è anche cicatrice per chi lascia la propria terra in cerca di fortuna altrove, lontano dalla riva del suo lembo-cordone ombelicale reciso dolorosamente per prendere il largo e allontanarsi dalla propria città. Da non sottovalutare la funzione che svolge per chi di esso si nutre: pescatori e marinai che del mare conoscono anche la fatica che spesso sottovalutiamo.
Tra le varie canzoni che rimarcano il legame di Napoli con il mare una delle più famose è sicuramente ‘O marenariello scritta nel 1893 da Gennaro Ottaviano e musicata da Salvatore Gambardella. La canzone diventerà un grande successo al punto che anni dopo, in America, sarà utilizzata in un film iconico come Il Padrino.
Questa canzone – inizialmente intitolata ‘O mare e ba’ – utilizza il mare come metafora delle pene d’amore. Qui un marinaio lega i gesti che abitualmente compie (tirare la rete ad esempio) al ricordo della sua amata; il desiderio di toccarla emerge in ogni verso della canzone, per lui conta avere al suo fianco la donna che ama anche mentre, lavorando, tira fuori la rete dal mare. Questo marenariello (piccolo marinaio letteralmente) attende con ansia il momento di potersi ricongiungere con la propria amata – probabilmente ora lontana – e trova nel mare quella componente romantica di legame e al tempo stesso distacco dall’amore immaginando il momento in cui potrà donarsi nuovamente tutto alla donna che ama; questo pensiero suscita in lui contentezza, gioia, felicità ma allo stesso tempo gli fa avvertire nostalgia, dolore, malinconia per la lontananza ben descritta dal ritornello in cui dice:
Vicin’ô mare,
facimmo ‘ammore,
a core a core,
pe’ nce spassá…
Só’ marenaro
e tiro ‘a rezza:
ma, p”allerezza,
stóngo a murí…
La contentezza del giovane, accostata a quella dei pesci che saltano fuori dall’acqua marina ricolmi di gioia e alle stelle che si innamorano della bellezza dell’amata, è smorzata dalla malinconia che i ricordi provocano nell’animo del marinaio che, per la troppa contentezza di rivedere tracce dell’amata dentro di sé, potrebbe anche morire. In realtà la canzone non ci dice se i due riescono a riabbracciarsi nella realtà o solo nei ricordi ma in ogni caso l’allegria del cuore del marinaio è incontenibile.
P”allerezza, stóngo a murí… non è soltanto un verso poetico di rara bellezza, ben espresso attraverso un ossimoro efficace, ma rappresenta in maniera incisiva lo stato d’animo del giovane che fa l’amore per la prima volta sulla spiaggia con la propria fidanzata, di chi rivede la propria terra dopo anni di esilio forzato, di chi ritorna dopo la guerra e avverte dentro di sé una contentezza strabordante, del marinaio/pescatore ormai vecchio che si rifugia nella felicità dei suoi giovani ricordi ormai ingialliti dall’avvicendarsi delle stagioni in cui resta vivido il ricordo di un amore lontano nel tempo ma ancora ardente di passione e che solo il mare può ben incorniciare.
Di Antonio Di Criscito
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Hannah
Luglio 20, 2024Napulitanata is the best memory of my visit to Napoli. Thank you!