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Una fiaba e una Canzone Napoletana: il significato dietro ‘A Nuvella

Quarta e quinta strofa: di comari e abitanti

Quatto figli mascule

dduje janche e dduje nire,
‘a furtuna vulette accussì

Quatto figli mascule

dduje janche e dduje nire

Tre so’li bellezze de la figlia d’o rre.

Ddoje ce steva n’ommo

ca teneva ddoie cape,

Una è la nuvenia ca te voglio cuntà

Cinche li cummare ca ricettero: “allero!”
che te piace cchiù ‘o janco o cchiù ‘o niro”?

Lu paese s’arrevotaje

Cinche li cummare ca ricettero “allero!”

Quatto figli mascule

dduje janche e dduje nire

Tre so’li bellezze de la figlia d’o rre.

Ddoje ce steva n’ommo

ca teneva ddoie cape,

Una è la nuvenia ca te voglio cuntà

Proprio qualche sera fa, tre ragazze afro-francesi sono venute ad assistere al concerto, e subito ho controllato come fosse stata riscritta la spiegazione sul programma della canzone Tammurriata Nera, presente in ogni concerto. Ho poi chiesto a Mimmo di spiegare ulteriormente il significato della canzone, nel caso fosse necessario. L’ansia che ho provato quel sabato è frutto di un episodio già narrato nel primo articolo: oltre a Tammurriata Nera, fu contestata anche ‘A Nuvella da due turiste afro-americane, che ritenevano entrambe le canzoni offensive e denigratorie, soprattutto per l’utilizzo della N-word.

Aprire questo dibattito è complesso e forse non riuscirò a risolverlo completamente. Le parole non sono solo strumenti di comunicazione, ma anche di pensiero. Alcune di queste nascono con significati specifici per un certo contesto, per poi cambiare o sparire nel tempo. Dobbiamo quindi tenere il passo con la storia e capirne tutte le sfaccettature, siano esse positive o negative.

Oggi siamo chiamati a prestare maggiore attenzione alle parole che usiamo, perché possono ferire e perché è tempo di partecipare a un processo di conoscenza, consapevolezza e responsabilità chiamato decolonizzazione del pensiero, dello sguardo e delle parole. La N-word non si usa. Se è vero che le parole assumono il significato attribuito loro nel tempo, questa parola è solo e sempre stata dispregiativa. (Per utili approfondimenti, consiglio di cliccare il seguente link https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/nero-negro-e-di-colore/734 ).

Posto questo indiscutibile assioma, è evidente che, in un modo o nell’altro, involontariamente o meno, la parola N viene pronunciata, tradotta nel modo più politicamente corretto, viene scritta. Ed è qui che deve avvenire uno sforzo incredibile per chi possiede una morale e un’etica stoiche: non abbandonare il loro principio e, contemporaneamente, andare oltre, “limitandosi” alla pura contestualizzazione.

Tralasciando la veridicità o meno di ciò che si narra in Tammurriata Nera, questa rispecchia una realtà orribilmente quotidiana dell’epoca: uno stupro avvenuto nella Napoli del dopoguerra, quando gli Americani erano giunti per la riabilitazione del paese. Dare un nome tipicamente napoletano al bambino è un atto d’amore, se così lo possiamo definire, che la madre compie nei confronti del figlio. Consapevole delle future chiacchiere, poiché il bimbo stesso è l’evidenza di un atto avvenuto fuori dal matrimonio, tra etnie diverse, e peggio ancora, privo di consenso, (tutte cose inaccettabili per l’epoca) la madre cerca di far crescere il bambino senza farlo sentire diverso. Diverso da chi, ci domanderemmo oggi.

Le comari del paese e il loro inciucio, sono sempre esistiti, è una storia antica.

Alla principessa nascono ben quattro figli, dduje janche e dduje nire, (quando si parla di ironia). E qui, le cinque comari presenti, oltre all’evidente sgomento compiono il gesto più reale, e positivamente menefreghista delle persone che, pur ignoranti, sono comunque umane: gridano all’allegria.

Ringrazio chi ci ha ricordato che anche se non si vuole, certe cose possono comunque ferire. Ringrazio soprattutto per averci dato la possibilità capire e migliorare. L’errore e la storia servono principalmente a questo: a non smettere mai di imparare, di conoscere e crescere, affinché non siamo mai sconfitti.

Si tratta dunque sempre di umanità. Umanità e conoscenza. Ed è quello che ho trovato nelle persone di Napulitanata. È di sicuro la parte più complessa dell’esperienza, parlare di chi l’abita; persone alle quali vorrei dedicare un pensiero individuale, anche se non renderebbe loro la dignità che meritano.

Bloccarsi sul più bello forse è un meccanismo inconscio, ma se cominciassi a scrivere di loro, significherebbe in qualche modo dirgli addio, e non è quello che desidero fare.

Faccio finta di cavarmela così:

Abitanti

In un paese di antica sapienza,

dove i dubbi si fondon con conoscenza,

colori vivaci dipingon strade,

talento e tenerezza riscaldan le serate.

 

Solletico di risate,

cibo che ha unito le nostre dita unte,

saltellando in una tarantella,

curiosità e coraggio in ogni cappella.

 

Nei silenzi si cela una forza infinita,

resistenza tenace,

noia

dissolta nel mormorio della tammorra,

nella nota stonata,

nel tasto sbagliato.

 

Sorrisi accendon speranza,

la lotta che ogni giorno avanza,

rabbia e isteria

camminando insieme,

esploriamo tutti la via.

 

Abbracci, sudore, fotogrammi momenti,

drink gratuiti per animi contenti,

è in questo paese di infinita grandezza,

che si vive di umano, coraggio e bellezza.

Di Alessia Thomas 

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