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‘A Nuvella
Una fiaba divisa in nove parti e una storia ordinaria che fa loro compagnia.

 

‘A Nuvella, una fiaba divisa in nove parti e una storia ordinaria che fa loro compagnia – Alla fine di ogni concerto, quello principalmente cantato dalle (E)Manuela, come brano bis (meglio conosciuta come “otra! otra!” urlata dal Signor Bruno), viene eseguita ‘A Nuvella: una canzone popolare, una storia divisa in nove parti, squisitamente boccacciana, dura e cruda e affascinante come una fiaba de “Lo Cunto de li Cunti”. È importante sottolineare che nonostante il testo possa apparire effettivamente crudo e selvaggio, la sua storia ha un sapore estremamente reale e antico, intriso di pregiudizio come voleva l’ignoranza dell’epoca, e pregno di umanità che da secoli a questa parte caratterizza i buoni. Perché ‘A Nuvella parla soprattutto di loro: dei buoni. Le (E)Manuela incrociano le loro voci a capella e intonano, come una nenia, la prima strofa, nonché l’introduzione alla storia che andremo ad ascoltare.

Una è la nuevlla ca te voglio cuntà,

 damm’audienza, stamme a sentì quann’è doppo te la puoi scordare.
Una è la nuvenia ca te voglio cuntà.

Una è la novena che ti voglio raccontare,
dammi udienza, stammi a sentire
dopo te la puoi dimenticare.

 

Poi un colpo sordo alla tammorra, e si inizia a narrare.

Fu uno dei primi brani a colpirmi dritto al cuore (perdonate l’espressione melensa), per vari motivi. Come ogni canzone eseguita dall’ensemble, ciò che rende unico il loro reinterpretare il loro repertorio è sicuramente l’arrangiamento e l’utilizzo dettagliato e mai scontato, delle voci di ognuno di loro: ritmo arcaico e medievale, che puoi trovarti a ballare in una di quelle serate estive dove calore ed umidità trovano finalmente pace. L’arrangiamento musicale è estremamente innovativo che non dimentica le origini, rendendola estremamente affascinante e godibile, una di quelle canzoni che difficilmente ci si stanca di ascoltare. E che non me ne vogliano le versioni originali di altri illustri cantanti e gruppi napoletani e non, ma quella di Napulitanata è di gran lunga la migliore.

Nel corso dei mesi, la canzone ha assunto un valore estremamente importante per me: durante un concerto, due ragazze del pubblico hanno in qualche modo lamentato il significato della storia, ritenendola troppo cruda e lanciante un messaggio apparentemente negativo. Iniziamo a capire perché.

Sebbene questo non sia ancora accaduto nella prima strofa, ma nelle successive non ancora oggetto dell’articolo, si viene a conoscenza di un certo evento: dal matrimonio di una principessa con un uomo dalle due teste, nascono quattro figli maschi, due bianchi e due neri. E sebbene il popolo esulti comunque per la loro venuta al mondo così come sono (la fortuna ha voluto così) gridi all’alleria! per la regina è impossibile da accettare. Pertanto manda, oltre alle ghiastemme, a chiamare ben sette cavalieri per tagliare la testa ai bambini neri. Terminiamo per un attimo il racconto qui. Ovviamente, così decontestualizzato e privo di una traduzione almeno in lingua inglese, il brano non aiuta. Ci si sofferma solo su questo episodio, comunque centrale della storia.

Quando prima si sottolineava quanto la canzone ricordi lo stile di Boccaccio o di Basile, è perché nella nostra letteratura, tanto napoletana, quanto italiana (non molto lontana dalle fiabe tedesche dei fratelli Grimm) era d’uso insegnare attraverso storie abbastanza crudeli, tanto ai bimbi quanto agli adulti, principi, valori, buone maniere e regole da seguire per comportarsi bene nella vita di tutti i giorni e per chi ci credeva, meritarsi un buon posticino magari in paradiso. Metodo discutibile, eppure. Non facciamoci quindi ingannare dalla bella versione Disney della Sirenetta: l’originale è molto, molto più brutali.

Ecco, la Novella pare essere di questo stampo: per quanto sia forte il gesto che la regina vuole compiere, gesto che poteva essere plausibile per l’epoca, la storia fortunatamente prevede un lieto fine. Ma l’episodio accaduto con le due turiste americane, che avevano esplicitamente consigliato di togliere il brano dalla scaletta perché lanciava un messaggio sbagliato, mi ha dato molto da pensare. C’è qualcosa che possiamo fare per restituire la giusta dignità a una parte della nostra cultura che merita di essere valorizzata? Fare ciò che si fa quando si ha paura di affrontare qualcosa di sconosciuto: imparare e conoscere.

È uno dei due motivi che mi ha spinto a trattare de ‘A Nuvella come argomento finale, per ricordare il grande lavoro che Napulitanata svolge: studiare, approfondire le nostre origini, goderne appieno, non per vantarsi, ma per preservarle e impedire che vengano manipolate. Per utilizzarle a nostro vantaggio, per non restare nell’oscurità e per non ignorare la nostra storia e la nostra identità. La cultura è la nostra difesa contro uno degli insulti più grandi che possano essere fatti alla nostra intelligenza, quello di abbandonarci nell’ignoranza senza possibilità di difesa.

Il secondo motivo è decisamente meno eroico, molto più egocentrico: approfittare della spiegazione delle nove novelle per raccontare, idealmente in nove passaggi, la mia, nostra, avventura del servizio civile che sta giungendo al termine. Ho sentito essere giusto cercare di fornire un contesto quanto minimo adeguato del brano di ispirazione, uno dei più belli nel nostro repertorio, che continuerò a esplorare nei prossimi articoli; insieme, purtroppo a qualche mio piagnisteo.

 

Di Alessia Thomas

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