Le canzoni napoletane di Domenico Modugno
Le canzoni napoletane di Domenico Modugno – La prima immagine che vedo appena lo si nomina è di lui a braccia aperte un po’ vestito come un pinguino, i baffi dai quali spunta quel sorriso bianco, il corpo leggermente inclinato all’indietro come se stesse per saltare. E le braccia, larghissime, come se ci stesse invitando tutti ad una festa. Non è facile parlare di lui: Domenico Modugno è una pietra miliare sì, della canzone italiana e internazionale, ma principalmente della nostra cultura, azzarderei identità.
Lo credo a capo di una rivoluzione gentile, nella creazione di musica e testi, che possono ingannare con la loro semplicità: come diceva Il Piccolo Principe, l’essenziale è invisibile agli occhi.
Ancora più arduo parlare delle canzoni napoletane di Domenico Modugno: due mondi estremamente prepotenti, viscerali, che dal profondo sud tentano (ancora) di risalire per non arrendersi alla mercé di chi un giorno ne tesse le lodi, e chi non attende altro per affossarlo ulteriormente.
Domenico Modugno è nato il 9 gennaio 1928 a Polignano a Mare, una città gioiello della costiera pugliese. Cresciuto in una famiglia di modeste origini, ha mostrato fin da giovane un grande interesse per la musica, imparando a suonare la chitarra da autodidatta e ha iniziando a esibirsi in spettacoli locali.
La sua carriera musicale ha inizio nei primi anni ’50 quando si trasferisce nella Capitale, dove con una barzelletta passa il provino di Luigi Zampa al Centro Sperimentale di Cinematografia e ottiene una borsa di studio. Arrivano le prime importanti collaborazioni e comparsate: per esempio, nel 1951 prende parte alla resa filmica di Filomena Marturano di Eduardo de Filippo.
Fiero cittadino del Meridione, come ha sempre rivendicato, comincia a cantare in siciliano e napoletano, i soli due dialetti che gli permettevano di “mangiare” in quegli anni, essendo il pugliese troppo poco conosciuto nel mondo dello spettacolo di allora.
Una delle caratteristiche più distintive delle canzoni napoletane di Domenico Modugno è la sua autentica adesione alla lingua e adozione dell’accento, abbracciandola completamente.
Fondamentale l’incontro con Riccardo Pazzaglia, compagno del Centro Sperimentale, nato e cresciuto al quartiere napoletano della Sanità, col quale non solo nascerà una grande amicizia ma un’intensa collaborazione nella scrittura dei testi napoletani. Anche perché a Napoli v’è un festival, impervio, che in alcuni casi supera per risonanza anche quello di Sanremo.
Il sodalizio con Riccardo Pazzaglia ha dato alla luce classici della musica italiana e partenopea: Io, mammeta e tu, che si rivela una hit, una sfida incredibile nell’Italia degli anni ’50, bigotta che non ammette rapporti prematrimoniali. Ma il Paese sta silentemente cambiando, e Modugno fiuta questa nuova aria e vuole raccontarlo nella tradizione musicale locale più nobile della penisola.
Con Io, mammeta, e tu, per esempio. Questa volta, sì, con Pazzaglia, che confeziona un testo esilarante. Protagonista è un fresco marito asfissiato dall’invadenza di una suocera che, per preservare il buon costume della figlia, rasenta i limiti dello stalking. Diventa un classico, cantato anche da Renato Carosone (insieme con Fred Buscaglione l’eccezione di quegli anni).
Altro personaggio memorabile è Lazzarella, la ragazzina impaziente di crescere che ruba sigarette al padre e il rossetto alla madre. È l’invenzione dell’adolescenza, un’albachiara del dopoguerra. I due brani sono affreschi ironici di italiani ancora “poveri ma belli”. Lazzarella, cantata da Aurelio Ferri, arriverà seconda nel 1957:
È un successo e un arrivederci perché anni dopo tornerà alla rassegna partenopea per rimanere definitivamente nei suoi annali. All’edizione dell’1964 non c’è partita. Tu si na cosa grande (presentata con Ornella Vanoni) conquista il Politeama e i napoletani. Anche il maestro della canzone partenopea Roberto Murolo la vorrà cantare. Il legame di Modugno con Napoli non si reciderà mai, basti pensare all’interpretazione di Masaniello nella versione di Eduardo de Filippo Tommaso d’Amalfi. Oppure alla malinconica Sole Malato e all’avventura del pizzaiolo di Pozzuoli che innamorato di una principessa indiana diventa Pasqualino O’Maragià.
Lazzarella è la storia di una ragazza, che rifiuta gli stereotipi di genere del suo tempo. Mentre il suo nome stesso è un diminutivo che denota un atteggiamento pigro o svogliato, il suo personaggio sfida quest’etichetta in modo sorprendente.
Nella canzone, Lazzarella si ribella alle aspettative sociali e dichiara con forza la sua indipendenza. Non vuole sottostare alle convenzioni tradizionali e si ribella alle restrizioni imposte dalla società patriarcale. Il suo spirito indomito e la sua determinazione nell’affermare la sua individualità sono al centro della canzone, rendendo Lazzarella una voce precoce per l’empowerment delle donne: non è solo una canzone orecchiabile, ma una dichiarazione di emancipazione. Nel 1957, l’anno in cui è stata pubblicata, il movimento femminista era ancora agli albori e le lotte per l’uguaglianza di genere stavano guadagnando lentamente terreno in tutto il mondo. In questo contesto, Lazzarella rappresentava una visione avanti nel tempo, esaltando l’idea che le donne potessero e dovessero decidere il proprio destino senza dover conformarsi ai ruoli tradizionali imposti dalla società. Il suo personaggio è un esempio di una donna che non accetta passivamente il suo destino, ma piuttosto sfida le aspettative, incanalando la sua forza interiore per perseguire ciò che desidera. Questo messaggio di indipendenza e autodeterminazione femminile, audace per l’epoca, ha contribuito a spianare la strada per un cambiamento futuro nella percezione delle donne e delle loro aspirazioni.
Lazzarella è l’ esempio del potere della musica nel veicolare messaggi sociali e politici, dimostrando come un brano possa influenzare la società e contribuire a cambiamenti significativi nelle mentalità.
Se volete ascoltare le canzoni di Domenico Modugno e molte altre canzoni napoletane classiche, non perdete i prossimi spettacoli di Napulitanata!
Di Alessia Thomas
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