di Eva Sansanelli
Cari lettori,
da oggi, ogni ultimo sabato del mese scriverò per voi una rubrica interrogandomi sul futuro della canzone napoletana e sulle sue infinite potenzialità. Il nostro è un patrimonio inestimabile, unico al mondo e può ancora trasmettere tantissimo alle nuove generazioni in termini di identità, appartenenza, riscoperta delle proprie radici. Quando Mimmo Matania mi ha chiesto di scrivere questa rubrica mensile per Napulitanata, ho ragionato a lungo su quale potesse essere il mio apporto, quanto davvero ne sapevo io di canzone napoletana pur essendo nipote di Sergio Bruni, la voce di Napoli, l’indomabile e strenuo condottiero che ha portato la nostra canzone a livelli altissimi in tutto il mondo, passando da un certosino lavoro di restauro delle villanelle del ‘500, fino a fondersi con la poesia contemporanea di Salvatore Palomba, musicandone i versi e diventando simbolo di una svolta epocale nel mondo della canzone napoletana e nell’identità di Napoli stessa. Ma l’artista, il genio, il maestro era lui, io cosa posso fare?
Sono nipote d’arte è vero, ma ci sono tantissimi colti ed autorevoli personaggi che ne sanno molto più di me. Figure quasi eroiche che hanno catalogato e selezionato in impeccabili enciclopedie tutto ciò che è stato scritto e cantato delineando un bacino immenso di melodie, testi, musiche, leggende e scorci su Napoli a cui si potrebbe attingere per i prossimi 1000 anni. E allora mi sono chiesta: come posso contribuire a riportare in auge un’eredità che oltre al patrimonio genetico ha instillato in ogni goccia del mio sangue un senso di appartenenza fortissimo, un amore viscerale che mi illumina gli occhi ogni volta che ne parlo? Come posso aiutare i giovani, ma anche i meno giovani a far capire loro che la storia della canzone napoletana è un libro pieno di scorci, dove chiunque può ritrovare le proprie origini, la voce della nonna che chiama l’ambulante sotto casa mentre le maestre vanno a fare la spesa e due sorelle litigano per lo stesso rubacuori dipingendo così un meraviglioso “Palcoscenico”[1] che è stato e sempre sarà perché è nel nostro sangue?
Io forse posso solo, in modo ironico e semiserio cercare di far tornare la voglia a voi miei cari lettori, di ascoltare ancora le nostre antiche melodie e di parlarne, condividere il più possibile questo nostro grande tesoro. Posso raccontare aneddoti dolci e divertenti della mia vita con nonno e forse, spero, posso riaccendere in voi una passione sopita.
Io ho trascorso i primi anni di vita in casa di nonno, e sono cresciuta nel suo perfezionismo, che i più intelligenti ammiratori sanno essere la conseguenza di un amore smodato, una reverenza sacra oserei dire, al patrimonio culturale della canzone napoletana e a quel dono che aveva ricevuto da Dio: una voce incredibile.
Quando avevo 4/5 anni ogni mercoledì mi rannicchiavo sulla poltrona della sala da pranzo e ascoltavo immobile, rapita, ore ed ore di prove. Talvolta capitava che provasse lo stesso accordo per mesi interi, che si soffermasse sulla pronuncia di una parola. Era un esercizio di meditazione, un allenamento a tratti militaresco per far entrare dentro di sé ogni nota, ogni pausa, ogni dettaglio del pezzo che stava provando. L’ultimo sabato del mese Nonno organizzava, nel piccolo teatrino di casa in Corso Vittorio Emanuele, un concerto gratuito per tutti i suoi fan e mia nonna era incaricata di prendere le prenotazioni su un grande quaderno che teneva nel cassetto della cucina. Le persone la chiamavano, perché mio nonno non perdeva occasione durante le interviste o quando incontrava i suoi fan per strada di divulgare il numero telefonico di casa in modo da poter permettere a tutti di partecipare a questo evento. Era un momento bellissimo per la nostra casa: le ore prima del concerto si rincorrevano silenziose e sacre, sembrava di essere in un convento e non si doveva disturbare Ninni (si faceva chiamare così da noi nipoti) che con devozione si preparava a onorare e regalare gratuitamente e generosamente al suo amato pubblico la canzone napoletana. Poi si faceva sera, gli invitati con i loro abiti eleganti e il cuore felice iniziavano a riempire la sala, io mi rintanavo sulle scalette per non togliere posti a nessuno e nonna Maria sempre dietro le quinte per dare al marito, con un solo sguardo, semplicemente con il gesto di porgere un fazzoletto, tutta la calma e la serenità di cui aveva bisogno. Poi si apriva il concerto, dapprima a scena vuota con le note di Core ‘ngrato[2] sullo sfondo di una meravigliosa gouache a fare da scenografia e poi entrava lui: con quel sorriso dolcissimo, solido, imperturbabile, lui era tutto lì per il suo pubblico a regalare la sua voce.
Era davvero un momento magico, gli allievi che lo accompagnavano, mia zia Adriana che veniva da Roma ogni mese per affiancarlo in alcuni brani in quell’appuntamento incredibile. E poi gli applausi, la gioia dei fan e per concludere una bella cena che Ninni offriva a chi aveva lavorato con lui aiutandolo in questo gesto di immensa generosità verso il suo pubblico. Era così Sergio Bruni, severo per devozione alla sua musa e generoso fino all’inverosimile.
Io ho vissuto tutto questo custodendolo gelosamente nel mio cuore. Per anni non ho detto a nessuno di essere la nipote di Sergio Bruni per riserbo e timidezza.
Poi è successa una cosa incredibile: i social network ci hanno inondato di tutto l’amore che nonno aveva profuso nel corso della sua carriera, dapprima una miriade di fan hanno iniziato a scriverci dopo aver letto il libro scritto da mia madre (Mio Padre Sergio Bruni) poi, una volta fondato il gruppo Facebook “Sergio Bruni il mito” e grazie alla nascita della pagina “Sergio Bruni”, abbiamo scoperto un esercito di ammiratori che ci hanno donato racconti, ricordi e materiale di ogni genere chiedendoci a gran voce di continuare a divulgare il suo canto.
Ci sono persone che quotidianamente condividono suoi brani, le stesse che ogni volta che mi vedono mi stringono le mani e mi inondano d’amore. E’ in nome di questa ondata di affetto che ho voluto vincere la timidezza e cominciare a parlare di lui, dei ricordi che ci legano, del nonno oltre che dell’artista e tutto questo amore mi sta tornando indietro come un boomerang. Lo faccio anche per il mio amato fratello Antonio Guglielmo che tanto gli somiglia e che, nonostante i suoi vent’anni, fa ascoltare con orgoglio la voce di quel nonno di cui si fa un gran parlare ma che non ha potuto vivere come me. Per questo motivo, e non mi dilungherò ulteriormente sul tema, ho accolto la proposta di scrivere dei contenuti per Napulitanata, una realtà che mi ha colpito profondamente: la prima sala da concerto dove poter ascoltare la canzone napoletana, gestita da un gruppo di giovani ma grandi musicisti, con una struttura solida e ben organizzata. Una fucina di idee e note, da divulgare a Napoli e a chiunque si trovi in città e abbia voglia di immergersi nella nostra storia, entrare nelle fibre della nostra pelle.
Spero che questo mio contributo serva non solo ad interrogarci sul futuro del nostro patrimonio canoro, ma soprattutto ad aprire uno spazio di riflessione che induca ciascuno a fare qualcosa di concreto per preservarlo e divulgarlo il più possibile. Nel mio piccolo, mi servirò di un tono spensierato e di un personaggio buffo che viene direttamente dal paradiso con la missione di salvare la nostra canzone.
Condividete e aiutateci a diffondere la parte più bella della nostra città, quella sana, supportateci nel portare avanti quella rivoluzione culturale che si vuole opporre al solito paradigma tanto amato dai media Napoli = pizza e mandolino, spari e cocaina con la munnezza sullo sfondo! Basta non ne possiamo più, la rivoluzione deve partire da ognuno di noi!
Ringrazio nuovamente Napulitanata e tutti i suoi musicisti per avermi accolta nella loro famiglia e vi auguro buona lettura.
C’è un nuovo super eroe in città
Gennaro Cerulli in missione dal paradiso
Quella Mattina in paradiso non regnava la solita pace, ma c’era quello strano trambusto di quando San Pietro ha preso una decisione irremovibile.
G.C. “San Piè allora è deciso, volete mandare proprio me?”
S.P. “Ma certo Gennà ancora me lo chiedete? Voi dovete andare laggiù e vedere di capirci qualcosa, bisogna capire che succede, perché i giovani non ascoltano più la canzone napoletana, perché le nonne non cantano più le ninne nanne in Napoletano? Gennà per cortesia vedete che dovete fare, io una volta al mese vi manderò giù e voi mi riporterete ciò che succede.”
G.C. “San Piè che vi devo dire, a voi non posso dire di no. Arrivederci!”
Continua…
Eva Sansanelli
[1] Nel testo si fa riferimento alla canzone “Palcoscenico” 1956. Chianese- Bonagura.
[2] Core ‘ngrato. 1911. Sisca-Cardillo
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