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‘A Nuvella di Eugenio Cucciariello, la fine del viaggio

Ottava e Nona e settima strofa: dove si campa allegri e felici.

Otto li manelle de le quattro criature:
“tutte ‘nsieme vulevano stà,
tutte ‘nsieme janche e nire”.

Otto li manelle de le quattro creature

Sette so’ venute sette cavalieri

Ma sei so’ li ghiastemme

Che a reggina menaje

Cinche li cummare ca ricettero “allero!”

Quatto figli mascule

dduje janche e dduje nire

Tre so’li bellezze de la figlia d’o rre.

Ddoje ce steva n’ommo

ca teneva ddoie cape,

Una è la nuvenia ca te voglio cuntà

Nove e accussì fernesce chesta storia,
‘nu cavaliere n’avette pietà
e se purtaje a nu paese luntano,
addò campano alleri e felici.


‘Stu paese comme se chiamma
chesta storia nun te lo dice.
addivina, addivinella
‘stu paese quant’è bello,


si lu sai nun l’he dicere a nisciuno,
pecchè ognuno se l’adda truvà,
si lu sai ‘mparatello a memoria.


Nove e accussì fernesce chesta storia.

Otto li manelle de le quattro creature

Sette so’ venute sette cavalieri

Ma sei so’ li ghiastemme

Che a reggina menaje

Cinche li cummare ca ricettero “allero!”

Quatto figli mascule

dduje janche e dduje nire

Tre so’li bellezze de la figlia d’o rre.

Ddoje ce steva n’ommo

ca teneva ddoie cape,

Una è la nuvenia ca te voglio cuntà

Tutto è bene quel che finisce bene? Chi lo sa. Ripenso alle due turiste, quelle da cui è nata questa lunga e forse non necessaria riflessione su ‘A Nuvella di Eugenio Cucciariello. Mi chiedo: si saranno date l’opportunità di capire fino in fondo cosa significasse davvero? Chissà se, arrivando alla fine, avrebbero compreso, concedendosi almeno il beneficio della curiosità, quella di scoprire il loro paese lontano. La canzone parla pur sempre dell’umano, dell’intrinseco bisogno di soddisfare un desiderio viscido, quello di avere tutto sotto controllo e ordinato ai nostri occhi (Tagliatele la testa! diceva la Regina di Cuori ad Alice nel Paese delle Meraviglie) e quello, invece, di porre rimedio a qualcosa che sappiamo non essere giusto. Salvare quelle due teste nere che ora, corrono nei boschi di chissà quale paese. Non riveliamo il nome, per evitare che la Regina lo scopra!

Mi domando: in ognuno di noi c’è una Regina che, per insicurezza, ricorre alla distruzione, o uno dei sette cavalieri, colpito dal sentimento più nobile, la pietà? O entrambi? Possono coesistere?”

Mi domando se sia stata l’unica a riflettere in modo così improprio e confuso su questa canzone, se avrei dovuto lasciarla com’era: una favola a suon di tammorra che i bambini si divertono a cantarla al contrario, per allenare la memoria. Mi chiedo se sono l’unica a non averla sviscerata così dettagliatamente e grossolanamente. Ad ogni modo, è servita a me; non per mettere un punto a una storia, semmai un romantico punto e a capo, per vivere finalmente quel paese lontano addò si campa alleri e felici. Dove, anche se non lo sono sempre, ho almeno la certezza di aver seguito la scia del cavaliere, quella della libertà.

Qualche giorno fa, qualcuno mi ha aperto gli occhi sulla trama didattica della favola di Cappuccetto Rosso. La mamma mostra alla figlia due strade, senza nascondere cosa di brutto potrebbe accaderle se scegliesse quella sbagliata. Ovviamente, se si dice a qualcuno “non pensare a una mela”, quell* che fa, ci pensa eccome. E così, Cappuccetto, da giusta ingenua e presuntuosa bambina della sua età, sceglie la via della curiosità un po’ malvagia e perversa. Ma ciò che mi ha cambiato la visione della favola, con un po’ di disappunto perché più si cresce, più tutto ciò che ci è appartenuto da bimbi diventa disincanto, è che la mamma ha dato a Cappuccetto la libertà di scegliere. Fatti tuoi se vieni ingurgitata poi da un lupo, sapevi cosa ti sarebbe accaduto.

Ecco, nonostante i fattori esterni che mi hanno aiutata – e chi non lo è? – mi rendo conto sempre più che con Napulitanata si tratta della mia relazione con la libertà, in molteplici forme. Nessuno mi ha mai costretta ad accettare né il lavoro né la realtà della Canzone Napoletana classica. Potevo rifiutare, visto che ero già impegnata con la scuola. Potevo rimanere sulle mie e non aprirmi alla cultura delle mie origini e del mio presente. Mi sono invece incuriosita e lasciata andare, pensando che forse mi avrebbe portato a qualcosa di buono. In ogni caso, mi sono sempre sentita libera di scegliere. Come ora, che il mio percorso è ufficialmente finito.

Le strade da prendere potevano essere varie: ringraziare e lasciarmi l’esperienza alle spalle, andarmene e tornare ogni tanto, rimanere nei paraggi, rimanere e basta. Accogliendo ciò che mi fa crescere e lasciando andare ciò che non mi serve. Napulitanata è un po’ ora il mio paese lontano, dove si cerca di vivere felici e contenti. Badate bene, si prova: sarebbe una bugia dire che lo si è sempre, un’ipocrisia che la stessa canzone napoletana non merita, altrimenti non sarebbe così bella e sfuggente.

Ad ogni modo, sabato sera ero di nuovo in sala, ed è accaduta una cosa che non so definire se non come bellissima: poco prima che le due (E)Manuela cantassero ‘A Nuvella di Eugenio Cucciariello, Valeria mi si è avvicinata e mi ha dato una carezza. E penso che momenti di tale spontanea bontà vadano sempre custoditi.

Di Alessia Thomas

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