Patrimonio Musicale Napoli: la mission di Napulitanata
Quando si parla di Patrimonio Culturale dobbiamo essere ben consci del fatto che esso sia costituito da beni materiali e immateriali. Eppure questa, sembra essere una definizione relativamente recente: nella Convenzione del 1972 dell’UNESCO il Patrimonio Culturale Mondiale è distinto semplicemente in Patrimonio Culturale e Naturale. Successivamente, la Raccomandazione sulla salvaguardia della cultura tradizionale e del folklore del 1989 sensibilizza verso un patrimonio intangibile, caratterizzato dalla unicità e dalla diversità culturale di popoli e società che costituiscono l’umanità. Tale patrimonio è definito “necessario all’umanità stessa quanto la biodiversità per la natura”.
Tuttavia, dopo gli albori di una visione patrimoniale nuova e più complessa, solo nel 2003 con la Convenzione di Parigi assistiamo alla salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, constatando la necessità di disporre accordi, convenzioni e atti di tutela più ampi, in grado di comprenderne anche questa voce.
In merito a tale definizione, dunque, anche quando parliamo della Canzone Napoletana dobbiamo discernere un’essenza materiale e una intangibile: da una parte, infatti, elenchiamo le copielle, gli spartiti, tutto ciò che possa ricondurre alla memoria della Canzone stessa e alla trascrizione della musica; dall’altra la musica per l’appunto.
Il patrimonio musicale di Napoli è vastissimo e comprende non solo la Canzone Napoletana quella “classica”, che si colloca tra la fine del ‘800 e la metà del ‘900; ma tutto il repertorio della musica in tutte le sue declinazioni: dai suoi primi albori nell’antichità, alla nascita della Scuola Napoletana di Sei-Settecento, fino alla Canzone.
In particolar modo, prima di quest’ultima si ricorda una Napoli settecentesca che divenne una fucina di musicisti classici di fama internazionale, come Giovanni Salvatore, Francesco Provenzale, Francesco Durante, Giovanni Paisiello, Giuseppe Scarlatti, Domenico Cimarosa… tanto che anche il giovane Mozart durante il suo soggiorno del 1770 ne rimase affascinato.
Siamo negli anni delle scoperte pompeiane, la rivoluzione della moda e il fervido splendore culturale, non ci stupisce quindi se il fermento del successo di importanti musicisti non lasciò gran spazio al piccolo genio che, sebbene arrivò a Napoli già accompagnato da una indiscutibile fama, non ottenne grandi commissioni in quanto ancora troppo giovane perché Napoli si occupasse di un ragazzino, seppure prodigioso.
Ribadiamo, però, che questa fetta del patrimonio musicale di Napoli, come già accennato precedentemente rappresenta solo una parte di esso.
Ritroviamo già nel XIV e XV secolo, in special modo, attestazioni delle prime forme di canto popolare (filastrocche anonime per lo più tramandate dal volgo), così come la musica “colta” caratterizzava le corti napoletane.
Si giunge fino alla consistente produzione del XIX secolo: contestualmente alla fioritura letteraria sette-ottocentesca in lingua dialettale, il canto popolaresco prende rapidamente piede grazie alla circolazione dei primi fogli volanti.
L’evoluzione di questo genere nel tempo colloca solo convenzionalmente la nascita della Canzone Napoletana al 1880 con il brano di Funiculì Funiculà del poeta Peppino Turco e il musicista Luigi Denza, ma è chiaro che l’evoluzione è complessa e questa data sia solo un punto di riferimento.
La Canzone Napoletana di fine Ottocento / inizio Novecento rappresenta la fetta di patrimonio musicale di Napoli al quale noi siamo dediti nella conservazione, nella fruizione e divulgazione della memoria.
Napulitanata nasce con l’intento di valorizzare quest’ultimo, traendo ispirazione da realtà internazionali dove persiste un forte senso di valorizzazione della tradizione e della tradizione musicale soprattutto: abbiamo visto Tablao, case de Fados e altre realtà internazionali capaci di dare un valore alla storia della musica locale. Realtà simili non esistevano a Napoli, pur avendo questa un patrimonio musicale invidiabile.
Una determinante pecca della nostra realtà cittadina è ancora la persistente mancanza di lungimiranza, la mancanza di un approccio dinamico e manageriale che dovrebbe permetterci di andare al di là del senso patriottico e dell’inettitudine di chi resta immobile a lasciarsi il tempo scorrere addosso. Tante volte risulta più semplice adagiarsi sugli allori di una fama antica, che però il tempo pian piano sbiadisce, senza avere la forza di essere napoletani non perché appartenenti ad una città di illustre fama remota; quanto piuttosto napoletani perché di una città ancora viva e in crescita, nonostante il tempo.
Spesso, infatti, ci si dimentica che prima ancora di essere autoctoni siamo uomini e donne con capacità e intelligenza, sta a noi come usarle.
di Rosaria Esposito
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